Sunday 8 April 2012

Le "Cime Tempestose" di Bronte Beach

Le spiagge oceaniche di Sydney portano ancora nomi aborigeni, l’onomatopeico Bondi a ricordare il fragore della risacca, Coogee l’odore delle alghe marciscenti, Maroubra le onde che si frangono “come tuono” contro le scogliere e Tamarama, Coogee e Little Coogee* dal significato oscuro.

C’e’ tuttavia un’eccezione che riguarda una delle spiagge piu’ famose - Bronte - e che avrei giurato portasse un nome aborigeno anch’essa, salvo scoprirne un’origine che la rimanda ad un' isola dall’altra parte del mondo, la mia Sicilia.  Non una storia di migranti meridionali di fine Ottocento ma piuttosto una regalia di re Ferdinando delle Due Sicilie all'ammiraglio britannico Horatio Nelson che fu proclamato Duca di Bronte nel 1799.  Ferdinando gli consegno' di fatto le chiavi della citta’ siciliana di Bronte, in provincia di Catania e alle pendici dell'Etna, nata nel 1520 con decreto dell'imperatore Carlo V del Sacro Romano Impero tramite l'accorpamento di 24 piccoli agglomerati medievali appartenenti al monastero di Maniace.

Mentre il Comandante Arthur Phillip piantava il vessillo britannico nel cuore dell’odierna Sydney - e in quello dei suoi abitanti aborigeni - l’ammiraglio Nelson capitanava la marina inglese durante la Rivoluzione Napoletana per la restaurazione Borbonica.  Il complesso dell’Abbazia di S.Maria di Maniace - che prenderà il nome di Ducea Nelson - terre, poderi e il titolo di Duca di Bronte furono il ringraziamento del Re Ferdinando di Borbone a Nelson per il decisivo intervento inglese.  Nelson ne parve molto orgoglioso al punto che, dal settembre del 1799 in poi, tutti gli atti ufficiali firmati dall'ammiraglio inglese riporteranno la postilla "Duca di Bronte".

Dall’altra parte del pianeta, nel frattempo, le terre aborigene venivano sottratte,  ripartite e concesse a titolo gratuito a “ex-forzati emancipati e meritevoli” e milizie dei Marine Corps a partire dal 1789 e in seguito ai coloni che occupavano il Nuovo Galles del Sud.  
Nel 1831 la cessione gratuita delle terre cesso’ e nel 1836 Mortimer Lewin, l'architetto ufficiale della Colonia del NSW, aquisto' un possedimento a Nelson Bay, in seguito conosciuta come Bronte, e inizio' i lavori di costruzione di un'imponente dimora in stile gotico. 

Prima che la fastosa dimora fosse ultimata, Lewis fu costretto a venderla per le difficolta' finanziarie che si trovo' inaspettatamente ad affrontare.  La rilevo' Robert Lowe, magistrato e accademico inglese , che decidera' di chiamerla Bronte House.  Lowe diede cosi' un nome nuovo a tutto il sobborgo e alla spiaggia conosciuta dagli abitanti della colonia come Nelson Bay,  sempre e comunque  in onore dell'ammiraglio inglese che si fregiava del titolo di Duca di Bronte.  

Lowe era anche un grande appassionato di letteratura e nella madre patria frequentava  salotti letterari e circoli culturali dove  la pubblicazione di Cime Tempestose e Jane Eyre, benche' sotto pseudonimo, erano sulla bocca di tutti.  Che il suo palazzo gotico in terra aborigena  sorgesse invece ad imperituro ricordo delle sorelle Brontë che in quegli anni stavano passando prematuramente a miglior vita?

Le versioni, al solito, sono contrastanti ma connesse perche’ un pastore protestante di povere origini irlandesi di nome Patrick Prunty o Brunty, padre del famoso trio di scrittrici vittoriane, era un appassionato estimatore dell'ammiraglio Horatio Nelson Duca di Bronte, e in suo onore – e per sembrare di piu’ aristocratiche origini - cambiò il proprio cognome in "Brontë".
Che siano dunque i fantasmi diafani delle tisiche Emily e Charlotte o lo spettro dell’indomito ammiraglio della battaglia di Trafalgar a dare il nome a queste scogliere frustate dal Mar di Tasmania poco importa. 
Forse il nome aborigeno che si e’ perso nelle maglie di una tradizione orale tragicamente interrotta evocava l’anima stessa, il genius loci di questa spiaggia meravigliosa.
Ma tant’e, almeno si pronuncia Bronti come in siciliano anche se alle sue spalle si stende il Centennial Park, invece del meraviglioso Parco dell’Etna. 
bellezze della scogliera di Bronte, NSW
*Little Coogee venne chiamata Clovelly solo nel 1913, in onore dell’omonimo villaggio sulla costa settentrionale del Devon, Inghilterra o piu’ propriamente in onore dell’agenzia immobiliare locale di Sir John Robertson che si chiamava appunto Clovelly.
 
Fonti:
Stan Vesper, 'Bronte', Dictionary of Sydney, 2008 http://www.dictionaryofsydney.org/entry/bronte 
sito della citta' di Bronte, provincia di Catania http://www.bronteinsieme.it/2st/nelson.html                                   
splendide foto di Bronte (Catania) : http://www.flickriver.com/places/Italy/Sicily/Bronte/
la Ducea di Nelson a Bronte (CT) - foto G.Basile - copyright bronteinsieme.it

Saturday 24 March 2012

Camminando sul fondo del mare, tra leggende e maree

Si narra che Ben Buckler fosse un deportato originario dello Yorkshire, un forzato della Corona Inglese ai tempi della fondazione della colonia del New South Wales. Fuggito con il compagno di sventure James Ives, venne accolto e visse dieci anni con le comunita’ aborigene che abitavano le zone costiere nei pressi di Port Jackson, oggi la baia di Sydney. Un eminente linguista di fine Ottocento, Archibald Meston, riporta la storia nei suoi appunti a proposito della trascrizione di vocabolario aborigeno cui Ives aveva contribuito sensibilmente e menziona a supporto un pamphlet di 24 pagine scritto da Ives nel 1822 e pubblicato sulla Sydney “Gazette”.
Purtroppo non sono riuscita a verificarne la fonte ma ho scoperto che la storia e’ a dir poco controversa e si intreccia con altre teorie a proposito di Ben Buckler. Una lettera anonima inviata nel 1878 alla rivista Australian Town and Country Journal di Sydney, e a firma “Old Colonist” suggeriva che il nome derivasse dall’isola sperduta delle Ebridi scozzesi, Ben-Becula, terra natia del quinto Governatore della Colonia, Lachlan Macquarie mentre Obed West (1807-1891) speculava a proposito di un’improbabile derivazione dai termini indigeni “benbuckalong” o “bal-buckalea”.

(foto Ireshart) 

Mentre mi inerpico sugli scogli di arenaria del promontorio settentrionale di Bondi, volgendo le spalle all’oceano aperto, accolgo senza indugi la leggenda di Archibald.   Dalla cima della scogliera tormentata che mi sovrasta, il povero Ben Buckler deve essere davvero precipitato un giorno infausto di fine Ottocento, "Rest in Peace, Old Ben".

Ho aspettato che ci fosse la bassa marea per raggiungere questo punto estremo del capo settentrionale di Bondi anche perche’, quando l’escursione di marea e’ nella sua massima estensione, l’oceano arriva a lambire la base dei torrioni di arenaria rendendo la zona inaccessibile.  Mi ritrovo cosi’ a camminare, in un certo senso, sul fondo del mare. Questo piano mesolitorale e’ ricco di organismi viventi e cosi’ scivolo sulle alghe e mi ferisco i piedi sopra la miriade di cirripedi aguzzi, prima di raggiungere uno scoglio asciutto su cui sedermi ad osservare la miriade di madrepore che spruzzano zampilli di acqua pescata nelle pozze profonde e circolari scavate da generazioni di ricci per ripararsi dai predatori e l’attivita’ incessante di granchi di varie misure.

Davanti a me l’oceano sembra lottare per non ritirarsi. Mentre l’energia delle onde si dissipa per attrito col fondale via via piu’ basso, la restante tende a conservarsi per il principio di conservazione dell'energia col risultato che l'onda diminuisce la sua velocità, ma cresce in ampiezza. Questo fenomeno ha reso Bondi Beach famosa per i surfisti di mezzo mondo ed erode da millenni la scogliera di Ben Buckler con marosi e mareggiate di intensita’ variabile ma sempre pericolosa per chi, come me, pensa di poter voltare le spalle all’oceano senza rischiare di venir travolta da un’onda inaspettata.
Puntualmente avviene e vengo investita da una montagna d’acqua ma il mio peso specifico e la familiarita’ col mare del mio passato da subacquea mi assistono - piu’ il primo, ahime', della seconda - e cosi’, fradicia e felice, mi ritiro in buon ordine.
Mentre percorro a ritroso il percorso verso la salvezza, mi imbatto in un enorme roccia che sembra adagiata sulla scogliera piatta senza soluzione di continuita’. Che sia precipitata dalle falesie in tempi recenti, magari causando la morte di Ben Buckler? 

Sulla cima piatta dell’enorme scoglio di arenaria (6.1x4.9x3.0 metri) ci sono molti gabbiani e un cormorano e mi avvicino nel tentativo di fotografarli. Naturalmente volano via ma a distanza ravvicinata vedo una targa di ottone incastonata nella roccia. E'stata posta dal Waverly Council e recita:










 
 “THIS ROCK WEIGHTING 235 TONS WAS WASHED FROM THE SEA DURING A STORM ON 15TH JULY 1912


ma anche questa sembra essere una leggenda, benche’ il geologo Carl Sussmilch abbia reso pubblica questa teoria in un suo abstract pubblicato dalla Royal Society of NSW il 4 settembre del 1912.

Negli anni ’60 il masso ha ospitato due statue a grandezza naturale scolpite sul modello di Jan Carmody, Miss Australia Surf del 1959 e Lynette Whillier, campionessa di nuoto locale, entrambe a guisa di sirenette in topless. La Mermaid Rock, come venne in seguito chiamata, divento’ iconica di Bondi North e genero’ sconcerto in quei tempi in cui il bikini si faceva faticosamente largo.
Fortunatamente, l’oceano che ci aveva misteriosamente consegnato la roccia divento’ una minaccia per l’integrita’ delle due stolte sirenette che vennero’ messe a dura prova da una serie di tempeste scatenate dal Mar di Tasmania. Nel 1976 vennero rimosse e quel che ne resta, ora, troneggia nella Waverly Library di Bondi Junction, in un’asettica teca di perspex.

Nel terzo millenio il Mar di Tasmania sferza ancora incessantemente la scogliera di Ben Buckler e forse un giorno si riprendera’ la roccia e sul fondo del mare le concrezioni copriranno anche quella targa d’ottone e il ricordo di quella tempesta del luglio del 1912 ma la leggenda di Ben Buckler continuera’ invece ad essere narrata per molti, molti anni a venire..





 


Sunday 26 February 2012

la rivolta e l'ospedale del rum

Una cara amica italiana mi ha chiesto di parlare dell’Australia ai suoi studenti in collegamento via skype.  In particolare vorrebbe che parlassi di chi abita questo continente, forse per renderlo in qualche modo piu’ vicino, piu’ umano, appunto.

E cosa mai posso dire, a questa amica e ai suoi studenti?  

Potrei riportare statistiche che registrano una popolazione ormai superiore ai 22 milioni abitanti e composta da decine di nazionalita’ diverse:  inglesi, irlandesi, scozzesi, italiani, tedeschi, cinesi, greci, olandesi, libici, libanesi, armeni, newzelandesi, filippini, maltesi, croati, gallesi, francesi, serbi,  indonesiani, spagnoli, macedoni, sudafricani, cingalesi, russi, turchi e americani, con percentuali che vanno dallo 0,28% per questi ultimi al 29,65% dei cittadini inglesi in ordine crescente.

Oppure potrei dir loro che oltre il 30% degli abitanti e’ composto da “australiani” e lo 0,58% da Aborigeni australiani?

Ad arricchire il melting pot dell’attuale multiculturalita’ australiana che contempla tutte le nazionalita’ elencate e molte altre che ancora non fanno statistica, ci sono stati nei due secoli scorsi flussi migratori diversi e spesso strettamente gestiti in risposta alle esigenze della giovane societa’ moderna australiana. Colonizzazione, sviluppo, agricoltura, caccia all’oro e pesca delle perle, difesa dopo il bombardamento di Darwin della Seconda Guerra Mondiale, estrazione mineraria e, ancora, necessita’ di migranti altamente qualificati per il terziario avanzato, mano d’opera a basso costo per l’agricoltura stagionale e l’ospitalita’ – i famosi working holidays cosi’ popolari in europa, una vera risorsa a basso costo per il governo australiano e una giovane ed entusiasta forza lavoro temporanea che non chiedera’ pensione, idennita’ malattia, maternita’, sussidi di disoccupazione.  Una moderna, abile e sofisticata strategia di sfruttamento di mano d’opera.

Cosa potrei dire a questi ragazzi e ragazze italiane, piuttosto,  a proposito di quell’oltre 30% di australiani e 0,50% di aborigeni? 
Chi sono questi australiani e questi aborigeni?   

La loro storia e’ intimamente e drammaticamente connessa. Quanto piu’ e’ salita la prima percentuale, la seconda scemava disperdendosi in mille rivoli, tutti tesi a cancellarne l’identita’ primigenia.
Dai primissimi contatti alla fine del XVIII secolo, solo all’apprenza amichevoli e presto sfociati in genocidio programmatico, furto di terre e costituzione di penose riserve aborigene, alla generazione perduta dei bambini rapiti e portati nella “civilta’” a migliaia di chilometri da casa nel XX secolo.  
Impossibile ridurre l’argomento della tragedia aborigena in poche righe o molti tomi, per cui – fatalmente anch’io – sono costretta a sospendere l’argomento, riservandomi di riprenderlo con onesta’. 
L’unica cosa che, a proposito di statistiche, sento l’obbligo morale di ricordare e’ un recente censimento governativo a rivelato che il 32% degli Aborigeni e’ astemio, contro il 16% degli australiani di origine europea.   
Cio’ nonostante l’alcool e’ una delle innumerevoli trappole occidentali che la popolazione europea ha teso agli aborigeni e che, al di la’ del facile e strumentale stereotipo del degrado sociale provocato dalla diffusione di alcolici in territori prevalentemente abitati dagli Aborigeni e nelle periferie urbane, ha di certo contribuito alla loro distruzione progressiva dell’aspettativa e della qualita’ di vita.   
Questo per sfatare il mito del “Buon Selvaggio” alcolista e per ricordare che agli albori della colonizzazione, coatta e non, del continente australiano il rum era la vera moneta di scambio tra i coloni.  

Vent’anni dopo lo sbarco della “Prima Flotta” che diede origine alla colonia del New South Wales, il suo quarto governatore, William Bligh, sopravvissuto all’ammutinamento dei Bounty, dovette capitolare nel 1808 di fronte all’unico colpo di stato australiano della storia chiamato la “rivolta del Rum”.  I suoi tentativi di abolire l’uso (e l’abuso) del rum come merce di scambio e calmiere sociale nella neonata colonia d’oltreoceano furono annientati dai militari della New South Wales Corps,  l’agguerrita e corrotta milizia che aveva gia’ provocato, per identico motivo, le dimissioni del precedente governatore Philip Gidley King e che nel vuoto di governo creatosi e durato alcuni mesi prima dell’insediamento di Bligh e dopo la sua destituzione armata, comandava di fatto. 
 
'The arrest of Bligh' - propaganda cartoon designed to show William Bligh as a coward from the time of the Rum Rebellion 1808 Sydney.  State Library of New South Wales

La colonia del NSW fu governata anche ufficialmente dai militari di stanza a Sydney, fino all’arrivo nella colonia del nuovo governatore, Lachlan Macquarie, che si insedio’ all’inizio del 1810 e tra le sue prime disposizioni risalta la sottoscrizione per la costruzione del primo ospedale della colonia, in sostituzione dell’ospedale da campo.  I contratti per il monopolio sull’importazione del rum salirono da 45.000 a 60.000 galloni (per poco piu’ di 6.000 anime), in cambio del finanziamento del nosocomio, pubblicamente conosciuto come “l’ospedale del rum”.    
L’ala nord dell’ospedale del rum e’ oggi parte della casa del Parlamento del New South Wales, nel cuore di Sydney.

Thursday 5 January 2012

il piccolo grande cuculo dal becco scanalato


29 dicembre, due del pomeriggio. Sono sola a casa, cerco di lavorare in attesa di andare in aeroporto a prendere Irene e Roberta di ritorno dalla vacanza scriteriata a Byron Bay. Eccolo li', il telefono di casa che suona.  I casi sono sempre e solo due (quando in Italia e' notte fonda) o e'  il papa' di Ale o e' il numero di emergenza di Sydney Wildlife.  In entrambi i casi la parola d'ordine e' non rispondere!  Mentre il nastro scorre e registra e la voce lancia il suo messaggio di richiesta di soccorso, quasi non respiro e di certo non faccio rumori, chissa' mai che mi scoprano che sono qui, di fianco al telefono e me ne guardo bene dal sollevare il ricevitore. Mi sentro un mostro ma davvero fare il volontario a Sydney Wildlife, a giudicare dal numero di chiamate e richieste di interventi, sarebbe un lavoro a tempo pieno, naturalmente sabato e festivi inclusi.

Io poi ho Gully che e' una cacciatrice indefessa e appena sente odore di selvatico va in uno sbattimento tale che sembra pazza e stiamo in una casa in affitto senza uno spazio adatto ad ospitare i vari orfanelli, feriti, disorientati, caduti dal nido e quant'altro capita ogni giorno da 'ste parti ai mille uccelli che qui intorno volano, cantano, ridono, chinguettano, starnazzano. Ale non collabora, non ne vuole sapere di uccelli o altra fauna endemica; per il salvataggio di balene e delfini mi aveva seguito (ancora mi chiedo quanto possa essere forte l'amore!) ma di Sydney Wildlife non ne vuole sapere e vedo una luce sinistra brillargli negli occhi quando cancella i messaggi lasciati dai vari volontari sul nostro numero di casa.

E poi Katharina ha ancora il mio rescue box da quando insieme abbiamo soccorso le 11 paperette figlie di anatra scema che aveva deposto le uova su una piccola ciminiera condominiale. Insomma, sono giorni che non rispondo agli appelli, ne' sul fisso nel sul cellulare e mi riprometto, per coerenza anche verso me stessa, di dimettermi da Sydney Wildlife. Scrivero' che non ho tempo, che non ho la macchina, che Katharina ha il mio rescue box, che sono in affitto, che ho Gully, che il mio compagno e' disposto ad ospitare balene e delfini in casa ma kukabarra e corvacci no e poi, comunque, sono anche italiana e non conosco le specie australiane e a volte non capisco nemmeno che tipo di uccello devo andare a salvare. Scrivero', e' deciso.  Anzi, mentre sento la voce rauca di un povero volontario di nome Nicholas che in un pomeriggio di festa di fine anno risponde alla chiamate di soccorso e cerca volontari che stanno immobili e neppure respirano vicino al telefono per paura che lui possa sentirli. Mentre clicco su "nuovo messaggio" per scrivere al mio coordinatore di SW che mi tiro indietro, non posso fare a meno di ascoltare il messaggio di 'sto Nicholas e, ad aumentare la mia determinazione e le mie motivazioni, non riesco a capire che diavolo di animale dovrei andare a recuperare.  E' fatta, sto gia’ scrivendo le dimissioni ma 'sto Nicholas e' determinato quanto me, visto che si mette a squillare anche il cellulare, con il temuto chiamante in grassetto: Sydney Wildlife! Spesso ormai non rispondo nemmeno al cellulare e rimando un sms dicendo che sono ad una conferenza a Melbourne o ad un meeting a Canberra (penseranno che 'sto volontario e' inaffidabile ma e' almento un professionista di successo, azzeccando fatalmente nel primo caso ma non nel secondo). Rispondo, non so nemmeno io perche' e il tono di voce accorato di questo Nicholas abbassa subito le mie difese, quando poi mi dice che questo xcxfagejdid[ejre;l;' kuka (capisco solo kuka ma non e' un kukaburra, il mio uccello preferito. Se no avrebbe detto kukaburra. E poi forse non ha nemmeno detto kuka.   Odio l'inglese e odio come lo parlano gli australiani!)  e' da ieri presso il veterinario di Randwick che non ne vuole sapere e non gli ha nemmeno dato da mangiare perche' e' un piccolo, un pulcino si dice qui.
Jesus un piccolo che non mangia da ieri, a Randwick poi e anche se e' un xcxfagejdid[ejre;l;' e forse anche kuka e' pur sempre un piccolo abbandonato senza nessuno che si occupi di lui.  Ok non ho il rescue basket, non posso tenerlo con me (ma allora e' gia' deciso che vado a soccorrerlo?),  Ire e Roby arrivano in aeroporto e poi e' arrivato anche Dylan da Canberra per stare un po' di giorni con noi.  Ho tre ragazzi famelici a cena, non ho il rescue box, non so cosa farne del non-so-nemmeno-io che animale sara' ma rispondo a Nicholas che va bene, che me ne occupo io e che il diavolo mi porti.

Scatta la fase operativa e in questo, anche se non capisco l'inglese e non ho il rescue box, sono sempre un calibro.
Dopo memmeno un'ora, aver ficcato della pasta al forno improbabile nell’oven, recuperato il rescue box, cercato legnetti nel caso fosse un uccello con artigli (oddio speriamo almeno che sia un uccello, per quel che ne so io xcxfagejdid[ejre;l;' kuka potrebbe essere qualunque cosa), preso l'asciugamano preferito - quello dei miei di Cuccioli quando li portavo in piscina, azzurro con ricamato il logo di Solletico in rosso (mi da coraggio usare quell’asciugamano quando sono in spedizione-soccorso, quasi come se avessi accanto il mio erpeto-psicologo preferito o la mia impavida e tosta ragazza) e naturalmente sbaglio strada. 
Ale appena rientrato stanco dal lavoro mi vede affannarmi tra due telefoni, google map, ceste, asciugamani, legnetti, maglietta Sydney Wildlife d'ordinanza e sulla porta mi chiede se so la strada.  Certo che so la strada, sono un Rescuer patentato, in missione per conto del Dio Pan, figurati se non so arrivare in Baker Street a Randwick.  Certo che non ci so arrivare, sono tutte uguali le strade qui e poi non si vedono mai i cartelli delle vie e poi 'sta guida a sinistra, che stress) ma infine ci arrivo.

La receptionist del veterinario e' al telefono e mentre parla le cadono gli occhi sulla mia maglietta d'ordinanza, chiede al suo interlocutore dall'altra parte del telefono (sara' una persona o il Dio Pan in persona?!) di aspettare un attimo, mi chiede se sono di Sydney Wildlife - ovvio che si, basta saper leggere -  e senza parlarmi del xcxfagejdid[ejre;l;' kuka  o salutarmi o chiedermi a che ora Ire e la Roby arrivano all'aeroporto, se qualcuno stara' curando l'improbabile pasta nel forno in Simpson Street, mi chiede se posso correre non-capisco-dove a recuperare una magpie che e' incastrata in un non-ho-capito-cosa.
Eh no, questo e' troppo!  Sono qui per il o la xcxfagejdid[ejre;l;' kuka dovrebbe saperlo!  Liquida il povero malcapitato alle prese con la magpie incastrata e in modo brusco mi conduce nel retro dove, tra barboncini rasati a meta', una gabbia piena di gattini (perche' non devo soccorrere dei micetti? sarebbe cosi' facile...) e scatoloni accatastati, c'e' una grande gabbia coperta da un telo chiaro.  Mi molla li' e se ne va.


Io tolgo il telo e mi innamoro.
Sul trespolo piu' basso, raso terra ci sei tu, la cosa piu' brutta e tenera che abbia mai visto in vita mia.
Un uccellaccio grosso come un piccione ripieno e con un enorme becco appuntito che  inizi  ad aprire ripetutamente appena mi vedi, per chiedermi da mangiare.  Io non ho cibo per te xcxfagejdid[ejre;l;' kuka ma ho gia' scatenato una task force, ti porto da Josha che e' un mito dell'ornitologia australiana e che tra l'altro ne sta gia’ crescendo altri della tua specie (beato lui che ha capito di che specie sei, Piccolo), lui sapra' di certo cosa fare di te.  Smettila di aprire il becco che io cerco di prenderti. Svolazzerai come quegli odiosi rainbow lorikeet, starnazzerai come quel piccolo currawong che ho preso qualche tempo fa?     Non farmi fare brutte figure, please xcxfagejdid[ejre;l;' kuka , non e’ giornata, cerca di collaborare.
Prendo l'asciugamano di  Solletico, schermo lo sportello della gabbia per paura che voli via ma si vede lontano un chilometro che sei cosi' "piccolo" che non solo non sai ancora volare ma non sai nemmeno mangiare da solo. Con l'asciugamano potrei coprirti per afferrarti, come ci hanno insegnato al corso di rescuer.
Non so perche' ma mi fai troppa tenerezza per coprirti come un uccellaccio qualunque e allora, piano piano, ti prendo tra le mani.  Fai solo un verso troppo debole per la tua stazza, devi essere davvero sfinito e con un bisogno gramo di nutrimento.
Ti metto nel rescue box e ti aiuto ad afferrare con gli artigli il legnetto che ho incastrato da parte a parte, ti senti piu' sicuro adesso, mi guardi e ricominci ad aprire ripetutamente l'enorme becco.  Lo so, Piccolo, che hai tanta fame, Josha ti nutrira', porta pazienza ancora un pochino.  E' bello che non sei spaventato e sembri abbandonarti alle mie cure.
Chiudo il coperchio, metto sopra Solletico cosi' non ti agiti vedendo i gattini, il barboncino spelacchiato a meta', la brusca e antipatica receptionist e siamo gia' in macchina.  Ai semafori rossi ti tolgo Solletico e ti guardo tra le fessure del rescue box, anche tu mi guardi e accenni ad aprire il becco ancora ma per fortuna scatta il verde cosi' non soffro di non avere un cicciosissimo lombrico da infilarti nel gozzo. Infine arriviamo da Josha che ti prende e si tiene il mio rescue box.
Devo assolutamente recuperarlo perche' non mandero' proprio nessuna mail di dimissioni a Sydney Wildlife... incontrarti, oggi, xcxfagejdid[ejre;l;' kuka mi ha davvero resa felice.

Per la cronaca, ho scoperto che e' il cuculo gigante (o cuculo becco scanalato, Scythrops novaehollandiae, Latham 1790) che da adulto puo' diventare lungo 58–66 cm e pesare 550-930 grammi. 
La bella foto e' di un adulto fotografato allo zoo di Adelaide e presa da Wikipedia mentre quella brutta e' di xcxfagejdid[ejre;l;' kuka ed e' stata presa da me, col cellulare e peggio di cosi' non poteva venire.